Acufene e COVID-19

“Anche l’infezione da coronavirus può peggiorare o far comparire l’acufene”. È quanto emerge da un importante studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Frontiers in Public Health e revisionato dalla Dr.ssa Alessandra Fioretti.

“Dallo studio appena pubblicato emerge che il 40 percento ha dichiarato che la COVID-19 ha peggiorato il proprio acufene; il 54 percento ha affermato di non avere notato differenze mentre il 6 percento ha persino indicato di aver sperimentato un miglioramento della condizione”.

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Leggi l’articolo originale su Frontiers in Public Health.

Acufeni

Cos’è l’acufene?

L’American National Standards Institute (ANSI, 1969) definisce l’acufene (tinnitus) come “la percezione di un suono in assenza di una stimolazione sonora”.

L’acufene è un sintomo — non una malattia — che colpisce circa il 15% della popolazione mondiale.

L’acufene può essere transitorio e non disturbante, ma anche continuo e stressante.

I pazienti lo descrivono come un fischio, un sibilo, un rombo, uno scroscio, un ronzio, un ticchettio, una pulsazione. Qualcuno lo descrive addirittura come musica, per cui è ipotizzabile un’allucinazione uditiva.

Quali sono le cause dell’acufene?

Sull’origine dell’acufene sono state formulate numerose teorie etiopatogenetiche e neurofisiologiche che restano tuttavia ancora non confermate definitivamente.

Le cause legate all’acufene sono numerose e in alcuni pazienti possono essere presenti simultaneamente più cause:

  • Malattie dell’orecchio medio e esterno (cerume, otiti medie, otiti colesteatomatose, stenosi tubarica, otosclerosi, glomo giugulare…)
  • Malattie dell’orecchio interno (trauma acustico, malattia di Meniere, presbiacusia, ipoacusia ereditaria, esposizione al rumore, ipoacusia improvvisa, malattie autoimmuni, neurinoma acustico…)
  • Malattie sistemiche (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, anemia, malattie cardio-vascolari, patologie tiroidee…
  • Disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare.
  • Disfunzionalità della colonna cervicale.
  • Farmaci ototossici.

La perdita di udito si accompagna spesso all’acufene perché il cervello, perdendo la cognizione delle frequenze interessate dalla sordità o dall’ipoacusia, cerca di colmare il vuoto e, quindi, “simula” quel suono.

Come individuare la causa dell’acufene?

Un corretto inquadramento diagnostico dell’acufene prevede una visita otorino completa, con questionari specifici per valutare l’impatto del tinnitus sulla qualità della vita, la presenza di iperacusia e di disturbi del sonno.

  • Audiometria tonale: valuta, mediante l’invio in entrambe le orecchie di toni puri, la capacità uditiva del paziente alle varie frequenze).
  • Audiometria vocale: valuta la capacità di comprendere la parola in assenza e in presenza di rumore competitivo.
  • Impedenzometria: indaga la funzionalità dell’orecchio medio ed evidenzia eventuali sordità dovute a rigidità del timpano, alla catena degli ossicini, a stati infiammatori dell’orecchio medio o della tuba di Eustachio.
  • Acufenometria: misura oggettivamente la frequenza e l’intensità dell’acufene.
  • Prove di tollerabilità al suono: per pazienti che soffrono di iperacusia, ovvero aumentata sensibilità ai suoni forti.

Gli esami di base su richiesta del medico possono essere integrati da altri esami, come le otoemissioni acustiche, i potenziali evocati uditivi (ABR), la risonanza magnetica encefalo con m.d.c per studiare l’angolo pontocerebellare e il CUI, TC per lo studio di eventuali malformazioni a carico dell’orecchio medio, angio-RM per lo studio di anomalie vascolari, eventuali esami per definire l’origine genetica o autoimmune della ipoacusia, intolleranze alimentari.

L’elevata incidenza di disturbi di ansia e depressione correlati all’acufene suggerisce di eseguire anche un videat psicologico per una corretta indicazione ad una terapia cognitivo-comportamentale.

Come curare l’acufene?

La Food and Drug Administration (FDA) non ha approvato nessun farmaco per il trattamento degli acufeni. Una terapia farmacologica di supporto può essere indicata però per i disturbi correlati, come ansia, depressione e insonnia.

L’approccio terapeutico più corretto per l’acufene è multidisciplinare e coinvolge quindi tutte le figure professionali specializzate, a seconda della disciplina, nel trattare le cause specifiche del sintomo.

I ricercatori hanno proposto e continuano a proporre molti trattamenti per l’acufene, così come continuano a ipotizzarne molte cause.
Trovi di seguito un elenco dei trattamenti più diffusi, ma anche oggetto di ricerca scientifica continua.

  • Tinnitus Retraining Therapy (TRT, Prof. Pawel J. Jastreboff, USA): mira a ridurre la percezione cosciente dell’acufene, indipendentemente dalla sua causa. La TRT abbina il mascheramento dei suoni al counseling per intervenire sulle conseguenze emotive e psico-affettive correlate al tinnito. I pazienti ricevono informazioni sui comportamenti protettivi, sullo stile di vita e sulle soluzioni ai problemi di natura emozionale e sociale legate all’acufene.
  • phase-out

    Phase-Out (controfase o procedura “Padden-Choy”, Prof. Daniel Choy, USA): dà risultati migliori per gli acufeni con tono puro; insegna al cervello a ignorare la percezione dell’acufene. Il paziente, con l’ausilio di un software e di un paio di cuffie professionali, individua le caratteristiche dell’acufene (tono e volume); il software somministra quindi lo stesso suono per circa mezz’ora, modificando però la fase dell’onda sonora, finché questa non entra in controfase con quella dell’acufene, per annullarlo.

  • Metodo Tomatis (Dr. Alfred Tomatis, Francia), che ha 5 fasi:
    1. Esecuzione di un test d’ascolto e audiologico, oltreché una valutazione otorinolaringoiatrica, per determinare il programma terapeutico;
    2. Trattamento di circa 70 ore (variabili a seconda delle caratteristiche psicoacustiche del paziente) con ascolto di musica a frequenze filtrate in base alle caratteristiche dell’acufene, per rieducare l’orecchio
    3. Test di controllo, durante il trattamento;
    4. Test di controllo a fine terapia
    5. Test di mantenimento 3 mesi dopo la fine della terapia.
  • Mindfulness: un programma di riduzione dello stress per pazienti nei quali la medicina convenzionale non riesce a dare sollievo. Il paziente impara strategie specifiche per affrontare il dolore emotivo e lo stress attraverso tecniche di focalizzazione sul respiro, body scan, meditazione e yoga. Il protocollo terapeutico prevede 8 incontri a cadenza settimanale della durata di 2 ore, oltre uno di circa 6 ore, preceduti da un colloquio preliminare per la somministrazione di test specifici.
  • Terapia cognitivo-comportamentale: aiuta a ristrutturare la correlazione tra pensieri, emozioni, comportamento e il modo in cui una persona interpreta gli eventi stressanti della propria vita e i lutti. La terapia aiuta il paziente a sostituire quell’elaborazione con pensieri più funzionali ed elimina lo stress e la sofferenza fornendo prospettive nuove e più soddisfacenti.
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